un network di cittadini con spirito liberale che vogliono partecipare alla costruzione di un soggetto politico aperto e inclusivo che abbia come obiettivo quello di diminuire il peso delle corporazioni, della burocrazia e dello stato nella vita dei cittadini
domenica 30 gennaio 2011
Un no forte e chiaro al federalismo leghista. La nuova legge porcata.
mercoledì 26 gennaio 2011
A noi ce sarveranno le mignotte
di Alessandro Piergentili
Il seguente sonetto che gira in rete da qualche giorno e che viene attibuito a Gioacchino Belli (1791-1863) è forse una bufala dei tempi moderni o forse è di qualche altro poeta romano, ma se permettete è talmente bello che non possiamo non riportarlo:
Mentre ch'er ber paese se sprofonna
tra frane, teremoti, innondazzioni
mentre che sò finiti li mijioni
pe turà un deficit de la Madonna
Mentre scole e musei cadeno a pezzi
e l'atenei nun c'hanno più quadrini
pè la ricerca, e i cervelli ppiù fini
vanno in artre nazzioni a cercà i mezzi
Mentre li fessi pagheno le tasse
e se rubba e se imbrojia a tutto spiano
e le pensioni sò sempre ppiù basse
Una luce s'è accesa nella notte.
Dormi tranquillo popolo itajiano.
A noi ce sarveranno le mignotte.
Sia che sia vero, sia che sia falso (e probabilmente lo è) il Gioacchino Belli è vissuto durante il periodo più buio dello Stato Pontificio, i suoi sonetti, insieme alle "pasquinate" (cartelli satirici che venivano appesi di notte sulle varie statue di Roma) sono da sempre considerati come il metro di un giudizio che il popolo dava del clero nel suo complesso. Un giudizio negativo che era suffragato da un decadimento morale, combinato da un aumento delle ingiustizie sociali e da una crisi economica dilagante. Insomma la fine dello Stato Pontificio.La satira ha da sempre contraddistinto le fasi storiche dei vari sistemi di governo, delle dinastie, degli imperi. Quando la satira politica inizia ad abbandonare i luoghi ad essa deputata e si trasferisce nelle strade, nei bar, nei salotti, sui social network e non è più gestita dai comici professionisti, si fa più sfacciata ed attacca il potere in modo frontale. E' questo il momento in cui le classi dirigenti si debbono veramente preoccupare, quando il popolo ride, non quando piange, perchè significa che si è superato veramente ogni limite.Il popolo sta ridendo e sta aspettando 150 anni dopo una nuova breccia di Porta Pia. Che arrivi presto.
martedì 25 gennaio 2011
Futuro e Libertà accende Palermo

venerdì 21 gennaio 2011
Combattiamo il berlusconismo non Berlusconi.
Riflettiamo un momento sugli ultimi 16 anni. La sinistra e la magistratura, per motivi diversi e che gli storici definiranno meglio di noi contemporanei, si sono sempre occupate della stessa persona scagliandogli addosso un potenziale di fuoco incredibile. Ne è sempre uscita fuori una figura di martire che ha aumentato il suo consenso. Quando, invece ci si è occupati del berlusconismo e dei suoi strumenti di potere le cose sono andate diversamente, vedi legge sulla par condicio che permise a Prodi di vincere le elezioni del 1996 e vedi la mai compiuta legge sul conflitto di interessi che tanto bene avrebbe fatto al nostro paese. Nel rafforzare Berlusconi si è rafforzato il berlusconismo, tanto che, ormai appare evidente, che l'inventore ne è stato travolto e ne risulterà la seconda vittima dopo l'Italia. Dalla pubblicazione delle intercettazioni appare chiaro che il Presidente del Consiglio non è più l'uomo così potente che fa esaltare un 40% di italiani e ne fa imbestialire un buon 60% pur detenendo il comando, ma è diventato una marionetta in mano ad un gruppo di potere che lo salvaguarda dai processi e lo fa divertire a forza di festicciole Bunga Bunga. La ricattabilità e la dipendenza dal Bunga Bunga fanno di Berlusconi un re in mano alla sua corte che è molto più pericolosa, potente e viscida del sultano. Basterebbe fermarsi alle conversazioni tra Fede e Lele Mora per comprendere che gioco attornia il presidente del Consiglio. Lì si parla di soldi, figuariamoci se si potessero ascoltare gli scambi di battute fra i politici che lo attorniano che cosa uscirebbe fuori. E' per questo che tutti difendono Berlusconi, perchè dietro di lui ognuno può detenere la sua fetta di potere e comportarsi come meglio crede. Chi scrive non ritiene corrispondente alla verità il fatto che gli attacchi del Giornale e Libero al Presidente della Camera Gianfranco Fini siano stati ispirati da Silvio Berlusconi. Che senso avrebbe indebolirsi? Riteniamo che la zizzania sia stata messa da chi controlla veramente tutto il sistema di potere berlusconiano e che una serie di personaggi ritenevano conveniente allontanare l'unico uomo con la caratura del leader che poteva mettere in pericolo il vero nemico da abbattere e cioè il berlusconismo. Non facciamo nomi, per carità, ma chiediamoci se chi controlla tutta la raccolta pubblicitaria di un giornale sia meno o più potente dell'editore. E' per questo che non comprendiamo la strategia delle opposizioni. Che senso ha fare delle proposte per mettere da parte Berlusconi salvaguardando la continuità del berlusconismo? Non si è compreso che il vero problema che affligge l'Italia è una corte dei miracoli che ha propaggini in tutti i mass media e che influenza pesantemente la vita politica, culturale, sociale ed economica del nostro paese? Berlusconi è, ormai, solo un simbolo messo lì apposta per coprire il torbido ed il losco. Una distrazione di massa. Riflettiamoci, rifletteteci.
giovedì 20 gennaio 2011
L’ASTICELLA
di Giulio Figlia
Poco tempo fa, di fronte all’ultimo scandalo riguardante il nostro Presidente del Consiglio, ricordo che con alcuni amici, tra il serio e il faceto, sostenevamo che quello di Berlusconi era una specie di esperimento sociologico in cui si provava ad andare sempre oltre fino a vedere fino a quando gli Italiani avrebbero tollerato, qual era l’altezza dell’asticella del decoro pubblico degli Italiani.
L’ultimo scandalo, o meglio, gli ultimi sviluppi del Ruby-gate, con l’accusa di concussione e soprattutto sfruttamento della prostituzione minorile sembra forse aver toccato se non superato quell’asticella di cui parlavamo poche righe sopra. Sia chiaro che qui non voglio entrare nel merito dell’inchiesta, lavoro che spetta alla magistratura ne vogliamo dare giudizi sulla base di poche notizie, saldi al principio della presunzione di innocenza, voglio parlare dei suoi effetti.
Che questa volta si sia toccato un nervo scoperto non lo intuisco dalle interviste per strada che i tg fanno e che non hanno nessun valore, se non altro perché il campione è tutto fuorché rappresentativo, ma lo si può capire dalle reazioni delle forze politiche, in primis la Lega: il silenzio leghista vale più di ogni commento, il loro imbarazzo è evidente. I motivi sono due, da un lato il ministro Maroni si è visto tirato in mezzo quando ha dovuto relazionare in Parlamento sulla vicenda della telefonata in questura e se era evidente il suo fastidio quando la cosa sembrava vera figuriamoci ora che è evidente come la ricostruzione fornita al tempo faccia acqua da tutte le parti; altro motivo di imbarazzo per il Carroccio è che in questi ultimi anni si sia erto a difensore della moralità e dei valori della famiglia, conquistando anche un certo consenso, valori, che è chiaro, mal si conciliano con un’eventuale difesa della movimentata vita privata del premier. Non solo la Lega, anche all’interno del PdL vi sono molti fragorosi silenzi, a parte i pasdaran berlusconiani come Stracquadanio, Cicchitto o Capezzone sono molti gli esponenti di primo piano come Alfano che sulla vicenda hanno fatto commenti da minimo sindacale senza esporsi troppo, senza dimenticare gli house-organ “Il Giornale” e “Libero” che pur schierandosi a difesa del premier hanno approntato difese molto meno calorose di altre difese in altri contesti.
Il motivo per cui questa volta Berlusconi appaia (appaia, magari poi non lo sarà) più solo di altre volte non so dirlo con certezza, forse il tipo reato contestato colpisce nel vivo l’italiano medio più di altri reati come la corruzione o il falso in bilancio, forse, anche per motivi anagrafici, il berlusconismo sta finendo quindi si trovano meno personalità disposte a spendere energie, oppure perché, e lo notiamo da chi ha visto le carte, questa volta l’impianto accusatorio è ben saldo e difficilmente smontabile? Io credo sia un mix dei tre elementi ma solo il senno di poi tra qualche tempo potrà fornirci una risposta.
Infine una considerazione che parte sì dagli affari di Berlusconi ma che è estendibile a tutta la nostra classe politica che spesso, troppo spesso, ha avuto a che fare con la giustizia: è troppo chiedere che un politico si difenda nel merito da un’accusa di corruzione invece di sostenere che i tempi di prescrizione non sono stati ben calcolati? E’ troppo chiedere che un politico si difenda nel merito da un’accusa di sfruttamento della prostituzione invece di dire che la procura inquirente non è quella competente? Cosa interessa a noi una classe dirigente onesta nella forma o onesta nella sostanza?
domenica 16 gennaio 2011
Che tristezza. Italia nostra come sei finita.
Navigare necesse est
In questi giorni di preparativi per l’appuntamento di Milano, dentro Futuro e Libertà circolano molte preoccupazioni e perplessità sulla fase di transizione post 14 dicembre. Anche i sondaggi confermano una fase di stallo dopo lo straordinario entusiasmo sprigionato da Bastia Umbra.
In quella fase proprio dai giovani e dai settori della società italiana più culturalmente consapevoli provenivano le più ampie porzioni di consenso.
Una forza repubblicana e legalitaria caratterizzata da etica della responsabilità e da una volontà coraggiosa e precisa di chiudere un’epoca caratterizzata dalla presenza invasiva e totalizzante di Berlusconi e del berlusconismo, questa la nostra immagine.
Il coraggio e la nettezza delle scelte sembrava “premiarci” e ci spingeva a disegnare, sempre con maggiore forza e decisione, il profilo di una forza politica di destra ma allo stesso tempo in grado di superare le categorie politiche del 900 e di parlare al cuore della Nazione.
Fini veniva percepito dall’opinione pubblica come la sintesi, prima ancora che politica e culturale, antropologica ed estetica di questo progetto di cambiamento e le battaglie parlamentari per salvaguardare questioni fondamentali di legalità ridavano senso e orgoglio di “appartenenza” a tante donne e tanti uomini cresciuti nel mito di Paolo Borsellino e della bella politica.
Ammettiamolo: a distanza di poche settimane il clima politico che percepiamo attorno al nostro percorso è purtroppo cambiato.
Per questo il nostro mondo oggi, e subito, deve rilanciare la sfida con decisione attraverso una linea politica lungimirante e limpida, facendo ripartire con credibilità un grande appello all’impegno civile e alla cittadinanza attiva.
Per far questo bisogna recuperare lo spirito della prima Generazione Italia e tornare ad essere movimentisti, innovativi e intransigenti sui principi e sui valori.
Servono nuove dosi di coraggio e lungimiranza, costanza e passione: bandire ogni moderatismo ipocrita e ogni illusione di poter ricomporre l’attuale centro destra, in una parola.
Fini, a Bastia Umbra, al termine del suo straordinario intervento evocò la metafora della nave di Saint Exupery: “se vuoi costruire una nave non far raccogliere legna e non organizzare gli uomini, ma evoca la nostalgia del mare”.
La mia impressione è che questa “nostalgia” si sia diffusa in dimensioni incredibili tra chi ci sostiene e ci sprona ad andare avanti e che invece alcuni amici, sopratutto dopo il 14 dicembre, si siano preoccupati esclusivamente di “raccogliere legna e organizzare uomini”, magari in attesa di un “segnale” che scongiuri la partenza.
Invece è necessario navigare poiché alle nostre spalle ogni pontile è bruciato. Navigare tracciando nuove rotte e lasciandosi alle spalle vecchi mondi. Navigare da italiani coraggiosi.
Per ricostruire la Patria.
domenica 9 gennaio 2011
AUTOBUS, TRENI REGIONALI E PARCHEGGI: Il 2011 INIZIA CON STANGATE DEL 25% DI AUMENTI
I MAGGIORI RIALZI IN LIGURIA, A NAPOLI RINCARI SULLA TANGENZIALE E SULL’AUTOSTRADA PER SALERNO… AUMENTO DEI PREZZI DEI PARCHEGGI A BOLOGNA, BIGLIETTI PIU’ CARI A PALERMO….”NON TOCCHEREMO LE TASCHE DEGLI ITALIANI”
La Finanziaria non è un’entità astratta: pesa sulla vita dei cittadini e sugli spostamenti che ogni giorno devono affrontare per vivere, lavorare, divertirsi. Dalle tariffe per i parcheggi al costo dei biglietti dell’autobus e della metropolitana, dai pedaggi autostradali ai treni locali: sono queste le voci dei bilanci familiari sulle quali i Comuni decidono di intervenire quando - visto il taglio dei trasferimenti - si vedono costretti a fare cassa.
La manovra, quando passa dal “nazionale” al “locale”, fa sosta davanti ai pendolari.
Da Milano a Palermo sono loro i primi a risentire della stretta.
In molti casi, sono chiamati a sostenere veri e propri aumenti di prezzo. L’elenco è lungo.
Si comincia con il più 25 per cento in più sul biglietto dell’autobus che i cittadini di Genova saranno chiamati a versare dal primo febbraio: passerà da 1 euro a 1,50 euro, e diventerà il più caro d’Italia.
Ora la palma spetta a Palermo con 1,30 euro: al momento la capitale siciliana non toccherà il prezzo del singolo biglietto, ma ha già aggiornato quello del carnet da venti.
Anche Bari alza il tiro: da Capodanno per il bus si pagano 90 centesimi al posto dei “vecchi” 80.
A rincarare ci sta pensando anche il comune di Bologna che si prepara a applicare un balzello del 20 per cento sugli autobus e sui parcheggi in centro.
C’è chi non pratica aumenti, ma taglia le corse (come Firenze che ha deciso di ridurle del 10 per cento spingendo i sindacati verso uno sciopero in difesa dei posti di lavoro); e chi - viste le imminenti amministrative - pensa sì ai rincari, ma li mette in programma per l’estate.
E’ il caso di Torino, che in primavera voterà il nuovo sindaco e che già sta studiando aumenti da applicare a partire da luglio.
E se il caro benzina penalizza chi preferisce spostarsi con l’auto, la stangata non risparmia nemmeno chi viaggia in treno.
Trenitalia Le-Nord società coordinata dalla regione Lombardia, aumenterà i biglietti in due tranche per un totale del 20 per cento.
I treni della Liguria rincareranno del 25.
Napoli penalizza chi viaggia in auto (più 25 per cento oltre i 30 km per chi usa la A3 Napoli-Salerno; più 3,8 per la Tangenziale), ma anche i pendolari del servizio pubblico.
L’unica città che non programma aumenti - “a meno che la qualità del servizio non migliori ” ha detto il sindaco - è Roma.
Il caso Parentopoli invita a passare la mano.
“BERLUSCONI DISSE A LULA: MEGLIO SE BATTISTI RESTA IN BRASILE”: PARLA MINO CARTA, IL GIORNALISTA ITALIANO AMICO DEL PRESIDENTE
da destradipopolo.net
“LULA NON HA CAPITO LE CONSEGUENZE DI UNA DECISIONE CHE NESSUNO PERALTRO GLI HA SPIEGATO”…”A BERLUSCONI DI BATTISTI NON GLI IMPORTAVA UN FICO SECCO”…IN BRASILE NON CONOSCONO LA VERA STORIA DI BATTISTI
Mino Carta ascolta e sorride amaro: è arrabbiato per Battisti che resta in Brasile. “Quando ha incontrato Lula, Berlusconi gli ha fatto capire che di Battisti “non gli importava un fico secco“, più o meno una cosa così.
Era presente Gilberto Carvalho, capo della segreteria del presidente. “Se Battisti resta qui, un problema in meno per noi”.
Il Cavaliere guidava un gruppo di imprenditori italiani.
Contratti importanti; importantissime le commesse Finmeccanica.
Nel governo di Dilma Rousseff, il Carvalho dal bisnonno mantovano è diventato ministro. Intellettuale interessante: filosofo che ha studiato Teologia e animato negli anni ‘80 la Pastorale Operaia del cardinale Arns mentre condivideva con Lula la fondazione del Pt.
“Non ero li, avverte Carta, ma conosco bene la persona che ha riferito: ne ho piena fiducia”.
Ed è la fiducia di un giornalista protagonista della stampa brasiliana.
Ha fondato e diretto due quotidiani, un mensile, tre settimanali. È arrivato da Genova nel 1946: aveva 13 anni.
È rimasto italiano di passaporto, ma brasiliano fino all’ultima abitudine. La prima direzione nel 1966: Jornal da Tarde, edizione della sera dell’Estado de São Paulo che il padre (redattore capo del Secolo XIX di Genova) aveva trasformato in grande giornale.
Mino attraversa gli anni della dittatura con difficoltà; finisce in prigione…
Per imparare il mestiere frequenta le redazioni di Time, Spiegel e il Panorama di Lamberto Sechi.
Civita (ebreo fuggito dalla Milano delle leggi razziali) gli chiede di inventare un settimanale e Carta inventa Veja, il più venduto nel paese.
Poi dirige IstoÉ che ricorda L’espresso.
Un giorno ascolta il discorso di un sindacalista dalla barba lunga e nera “in apparenza rude ma con la sottigliezza di un Bertoldo metalmeccanico”.
Gli dedica la copertina e il Brasile scopre Lula.
L’ultima creatura, CartaCapital.
Tre mesi fa Lula va in redazione a festeggiare il compleanno del giornale. Perché un presidente così grazia Battisti…?
“Ignoranza. Non ha capito le conseguenze di una decisione che nessuno, del resto, gli ha spiegato. I suoi uomini se ne sono disinteressati. La posizione di CartaCapital è chiara: il piccolo delinquente romano, che ha imparato in galera una politica sciagurata deve scontare l’ergastolo. È vero che l’ergastolo non esiste in Brasile, di qui i cavilli sulla “persecuzione”, ma è anche vero che i terroristi rossi e neri, pentiti e non pentiti, in Italia sono tutti in libertà. Ho invitato Dirceu a un faccia a faccia: il mio giornale è conosciuto per il rispetto e l’indipendenza. Sacre le domande, sacre le risposte. Ma all’ultimo momento Dirceu telefona: “Non so niente di Battisti. Cosa vengo a dire…?”. Senza tenerezza abbiano raccontato la defezione”.
José Dirceu è allenato al silenzio. Teorico che ha disegnato il Pt assieme a Lula, ricorda certi fantasmi di Le Carrè.
Arrestato dai militari della dittatura mentre organizzava la protesta degli studenti, passa da un carcere all’altro e viene liberato (assieme ad altri 14 politici) in cambio del rilascio del console generale Usa, Elbrik, sequestrato da chi lottava nella clandestinità. Esilio a Cuba, scuola di guerriglia…
Un chirurgo gli cambia la faccia e con largo viaggio torna a casa, passaporto falso. Va in giro a vendere mobili, copertura per organizzare il malcontento; si sposa e battezza il figlio col finto nome.
Appena i militari smobilitano, progetta il Partito dei Lavoratori.
Diventa l’ombra potentissima del Lula presidente: uno scandalo lo costringe alle dimissioni.
Il racconto di Carta è un viaggio nei gironi del Pt. “Battisti resta perché Lula alle prese con gli equilibri del partito vuol calmare l’inquietudine della sinistra radicale, non sempre intellettuali con amici in Francia. A parte il disinteresse di Berlusconi, la piramide brasiliana è complessa. In Brasile nessun magnate o politico di peso va in galera. A differenza dei privilegi italiani, si presenta in tribunale e ascolta la condanna, ma tutto continua come prima”.
La rete che avvolge il caso Battisti comincia dal suo avvocato: Luis Eduardo Greenhalg, ex deputato Pt, “predatore che si dice di sinistra ma ha difeso Daniel Dantas”, Sindona della finanza brasiliana. Traffico di intercettazioni, finanziamenti occulti e la matassa nera del caso Telecom Italia. Finisce in galera, ma il presidente del Tribunale supremo lo libera due giorni dopo e per i due poliziotti che lo hanno incastrato carriera finita. Dantas querela CartaCapital: Mino Carta trionfa. Disegnato l’impianto della difesa di Battisti, Greenhalg passa la mano ma lo stratega è sempre lui…
“Tutto il mondo è paese, in Brasile e in Italia. Guai toccare certi tabernacoli. Mi spiace per Lula: si fida male e non sa di dare una mano alla destra di Roma”. Disinformazione che continua nei giornali: Dalmo Dallari scrive sulla Folha de São Paulo che Battisti era stato perseguitato in Italia da un governo fascista.
Era l’Italia di Moro e Berlinguer.
Errore di chi non è informato…?
Forse, ma la figlia di Dallari è l’amica del cuore del senatore Eduardo Matarazzo, discendente dei miliardari e senatore Pt.
“Peccato”, sospira Carta…
Maurizio Chierici
(da “Il Fatto Quotidiano“)
I DISERTORI DELL’UNITA’ D’ITALIA: UN GOVERNO IN FUGA RAPPRESENTATO SOLO DA LETTA
IN QUALSIASI ALTRO STATO CIVILE LE CELEBRAZIONI AVREBBERO COINVOLTO TUTTI: IN ITALIA IL GOVERNO E’ LATITANTE PER PAURA DEI RICATTI DI UN PARTITO CHE STA SULLE PALLE A 9 ITALIANI SU 10… E QUESTO SAREBBE UN GOVERNO DI DESTRA? O FORSE UN ESECUTIVO DI VILI DISERTORI INTERESSATI SOLO A SALVARE LA PELLE E IL POSTO?
Con il governo appeso a tre voti, figurarsi se Berlusconi farà il gesto ardito di contrariare Bossi, sgomitando per mostrarsi in prima fila alle celebrazioni dell’Unità d’Italia.
E difatti a Reggio Emilia, il Cavaliere s’è ben guardato perfino dall’inviare un messaggio, una lettera, una delegazione in sua vece.
A parte l’onnipresente Letta, che incarna il galateo della Repubblica, è come se i ministri si fossero passati la voce: meglio snobbare l’evento.
Alla festa del Tricolore non se ne è vista traccia.
Alcuni ministri in privato si giustificano, «l’invito del Quirinale era di routine, nessuno ha fatto sapere che Napolitano ci teneva», quasi che fosse necessaria una speciale supplica del Colle.
Tutte scuse, rispondono da lassù. Il vero nodo politico del Centocinquantenario che non decolla sta nella Lega. Sempre più padrona del campo, padrona anche delle idee.
Ma c’è dell’altro che motiva il disinteresse del premier, perennemente distratto quando Bondi e La Russa (con quel pizzetto risorgimentale che molto richiama Bixio) hanno posto il problema, mesi fa persino in Consiglio dei ministri, però con scarso successo.
La prima spiegazione suggerita dai consiglieri del Principe è quasi antropologica. Berlusconi, imprenditore brianzolo votato al «fare», aborre l’«ipocrisia» delle ricorrenze poiché ritiene che rimboccarsi le maniche giovi all’unità d’Italia più di mille pompose orazioni.
Completano il pensiero i soliti detrattori, segnalando che forse è meglio così, perché mai Silvio si è appassionato di storia patria.
E quando ha ritenuto di cimentarsi (con l’eccezione del discorso alto e nobile il 25 aprile 2009), dalla sua bocca sono usciti simpatici lapsus tipo «Romolo e Remolo», oppure gaffes involontarie sul papà dei sette fratelli Cervi, che lui sarebbe andato volentieri a trovare se non fosse morto 30 anni prima come ben sa Napolitano, il quale ieri ha reso visita alla casa-museo.
Non deve fare scandalo.
La ricca bibliografia sul Cavaliere concorda che il segreto della sua leadership sta proprio nel «pensiero debole».
Berlusconi guarda ostentatamente avanti, e considera il passato come un fardello, una malinconia.
Infine c’è l’ultima spiegazione, che riporta alla battaglia politica e al complicato ménage con Bossi: il nostro premier ritiene che la maniera più stolta per frenare la Lega è quella di farci a zuccate. La tattica più astuta consisterebbe viceversa nell’ignorarne le «mattane», specie quando evocano Roma Ladrona, il separatismo e, dio non voglia, i fucili.
Come con i pargoli maleducati, «bisogna far finta di nulla».
E’ un precetto che i gerarchi berlusconiani confessano di avere sorbito decine di volte: «Più noi ribattiamo a Bossi, più facciamo il suo gioco».
Sulle celebrazioni del Centocinquantenario, che s’intrecciano pericolosamente con l’ultimo miglio del federalismo fiscale, il Cavaliere ha deciso: la Lega dica quello che vuole, «noi non reagiremo».
Non risulta che si sia speso per allargare il budget delle manifestazioni pubbliche.
Nè pare che Berlusconi abbia insistito con Bossi perché intervenga personalmente a qualche evento celebrativo, se non altro per far contento «il vecchio del Colle».
Ugo Magri
(da “La Stampa”)