martedì 17 agosto 2010

Il Sud, il Nord, l'Italia


di Alessandro Piergentili
Ci dispiace ma dobbiamo farlo. Dobbiamo per forza citare il famoso apologo di Menenio Agrippa narratoci da Tito Livio in Ab Urbe Condita II 32. Nell'antica Roma ci fu una rivolta della plebe contro i patrizi, forse uno dei primi scioperi della storia, e Menenio Agrippa riuscì a convincere i plebei a tornare alle proprie mansioni, con il famoso apologo. Nella sua favola si raccontava che le mani, entrate in sciopero perchè stanche di lavorare per uno stomaco che appariva loro parassitario, dovettero rendersi conto che loro erano le prime a sentirsi indebolite dalla protesta, che lasciava non solo lo stomaco, ma l'intero corpo senza nutrimento. La società vista attraverso una metafora organicista. Chiunque abbia effettuato degli studi relativi a scienze sociali, come quelli economici o sociologici, sa perfettamente che tutto è collegato, nessuna azione, per quanto isolata, può rimanere senza conseguenze sul resto della società. Oggi abbiamo letto con molta attenzione l'articolo di Panebianco sul Corriere della Sera. Premettiamo che ci troviamo sostanzialmente d'accordo con quanto scritto dal famoso editorialista e ciò ci capita spesso. In quanto parti in causa, visto che facciamo parte del movimento che si ispira a Gianfranco Fini e visto che siamo stati uno dei primi circoli costituiti al sud, ci sentiamo di escludere totalmente che Generazione Italia e Futuro e libertà siano una sorta di Lega Sud. Il difetto di rappresentanza nella difesa dei legittimi interessi meridionali non può essere coperto da un movimento politico localista speculare alla Lega Nord. Noi non ci sentiamo di aggiungere divisioni a divisioni, seguendo il motto del "divide et impera", bensì vogliamo unire. La questione meridionale, la crescita culturale, sociale ed economica del Mezzogiorno non possono essere considerati dei temi antitetici agli interessi del nord. Sono complementari. E' su questo terreno che bisogna sfidare la Lega Nord. Un'opera d'informazione che rovesci il tavolo e rimischi le carte in gioco. Si ridiscuta di federalismo quindi, anche in tempi brevi, ma rivedendo l'agenda e riformulando la teoria. Perchè bisogna partire dalla discussione sui costi standard? E' naturale che tale analisi penalizzerebbe le regioni meridionali se fosse comprensiva dei costi del personale e quasi totalmente inutile se non li comprendesse. La funzione sociale che lo stato compie al sud è troppo alta ed allo stesso tempo troppo gravosa sia per tenerne conto, che per non tenerne. Un federalismo concepito in questo modo è un federalismo punitivo, di chi già è punito dalla realtà di vivere in regioni più povere e più inefficienti. La soluzione c'è ed è quella di rimandare questa analisi alla fine del processo ed iniziare a discutere fin da subito di autonomia fiscale pura. Prendiamo come punto di riferimento gli articoli disapplicati dello statuto siciliano, il 36, il 37 ed il 38, che la Corte Costituzionale con tre sentenze del 1973, 1987 e l'ultima del Maggio 2010 ha reso inefficaci. In quegli articoli si parla di una regione (qualsiasi nel nostro caso) che sia in grado di decidere il livello di tassazione sul proprio territorio, di incamerare non solo le imposte relative ai redditi dei lavoratori e le imprese siciliane, ma anche la quota parte delle imposte sui consumi incamerate dalle imprese che siciliane non sono. Tanto per fare un esempio in un federalismo leghista se un palermitano acquista una Fiat, la maggior parte dell'iva verrebbe incassata dalla regione Piemonte e ciò è in netto contrasto con il principio ispiratore delle imposte indirette e con un concetto equo di federalismo. E' stato calcolato che se la Sicilia avesse la possibilità di incamerare le tasse indirette rivenienti dai consumi dell'isola, le entrate pro capite balzerebbero ai livelli di Marche ed Umbria. Senza contare che in un percorso di autonomia fiscale, le regioni meridionali potrebbero attrarre nuove imprese e sostituire gradualmente il modello esasperato ed inacidito del finto welfare state del nostro Mezzogiorno, con il mercato e con del lavoro vero. Un percorso di questo genere con degli step chiari e con dei punti di controllo, potrebbe permettere in un decennio di trasformare l'Italia e fermarne il costante declino. Quindi ci troviamo perfettamente d'accordo con le conclusioni dell'articolo del Dott. Panebianco, così come ci rendiamo conto che se i politici meridionali, finora, non hanno fatto gli interessi dei cittadini del sud non è colpa della Lega Nord, ma ciò non vuol dire che i leghisti con la loro visione tribale ed autoctona della società e dell'economia non stiano per danneggiare fortemente il livello socio-economico dei cittadini settentrionali. Suggeriamo a Bossi, salmoni e trote di leggersi Tito Livio.

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