venerdì 3 agosto 2012

Destra e Sinistra



di Enzo Palumbo

Ho letto con interesse l’articolo di Fabio Granata pubblicato qualche giorno fa sul sito di Futuro e Libertà, e ciò mi ha stimolato qualche riflessione, avvertendo subito che cercherò di entrare sull’argomento “in punta di piedi e con rispetto per tutti”, da esterno quale sono ma anche tuttaltro che indifferente rispetto al dibattito in corso  all’interno di Futuro e Libertà e di GenerazioneItalia.
Trovo che quello di Granata sia, in tutta la sua prima parte, una legittima e giustificata rivendicazione di un grande atto di coraggio politico e di onestà intellettuale, compiuto da Fini e dai suoi più stretti amici nel momento in cui hanno deciso di separare le loro responsabilità da quelle del "grande imbonitore", che aveva portato l'Italia sull'orlo del precipizio; nell'assumere quella coraggiosa decisione, Fini ed i suoi hanno dimostrato una preveggenza di due anni rispetto al momento in cui la situazione è apparsa irrimediabile.
Ed è appena il caso di aggiungere che, nei liberali del PLI, quella preveggenza è stata ben maggiore, essendo cominciata almeno nella primavera del 2008, quando hanno deciso di affrontare quelle elezioni in assoluta solitudine, mentre in altri liberali (pochi, per la verità), che proprio per questo sono approdati al PLI con qualche ritardo, la previsione del disastro al quale eravamo destinati è maturata anche prima, addirittura all’indomani delle elezioni del 1994.

Il momento magico per FLI si colloca nell'estate-autunno del 2010, allorché, sarebbe stato possibile cambiare nel profondo la storia recente del Paese, se appena Fini avesse avuto l'accortezza di rassegnare le dimissioni (che sarebbero state certamente respinte da una maggioranza diversa da quella di governo, così segnando la rottura con quel mondo) e se, a questo punto, si fosse subito sfiduciato il governo (invece di ritardare oltre ogni ragionevolezza una resa dei conti che era ormai scritta nei reciproci comportamenti, il che ha consentito a Berlusconi di utilizzare le sue copiose risorse per invertire il corso delle cose).
In quella ipotetica situazione, tuttavia non realizzatasi, poteva avere forse qualche senso il tentativo di rivendicare la titolarità di una posizione di “destra repubblicana, costituzionale e legalitaria”, in contrapposizione con lo scempio legislativo operato negli anni del berlusconismo dall'altra destra, quella degli affari e delle leggi ad personam.
Ne sarebbe venuto probabilmente il consenso di una parte significativa dell'opinione pubblica, disgustata dello scempio che si andava facendo della legalità, ma pur sempre preoccupata di aprire la strada al centrosinistra inconcludente e rissoso del secondo governo Prodi, come anche restia ad accodarsi alla rinascente sirena democristiana.

Ma così non è stato, e quindi attardarsi oggi a rivendicare quella posizione di "destra legalitaria", come sembra volere fare Granata, mi appare come una risposta superata rispetto ad un problema che non c'è più.
Non per questo le cose che scrive Granata nella prima parte del suo articolo sono meno vere ed apprezzabili; ma bisogna rendersi conto che, nel frattempo, quello scenario (che allora era effettivamente emergenziale) è superato da nuove emergenze, che attengono a questioni esistenziali con cui gli italiani stanno facendo i conti ogni giorno di più.

A mio parere, ciò che va fatto, hic et nunc, è di attrezzare un'offerta politica che copra uno spazio ben diverso, e cioè quello del liberalismo organizzato, di cui la società italiana avverte oggi estremo bisogno, come risulta evidente dalle tantissime iniziative che da qualche tempo vanno qua e là fiorendo, spesso per sfiorire subito dopo, e ciò proprio per la mancanza (o, se si vuole, per l'insufficienza) di una struttura politica adeguatamente attrezzata per tramutare l'aspirazione istintivamente avvertita in proposta politica credibile, e così coprendo, nel campo specifico del liberalismo organizzato, un "vuoto italiano" che appare inspiegabile a tutti i liberali europei.

Se FLI vuole dare il suo importante contributo in tal senso, la strada da percorrere non mi sembra quindi quella di rivendicare una labiale collocazione di destra (che porta inevitabilmente, come mi pare che lo stesso Granata paventi, alla destra sociale storaciana ovvero al radicalismo turboliberista del tea-party all'amatriciana), ma piuttosto quella di concorrere alla formazione di un'offerta politica "liberale", nel senso crociano del termine, affiancandosi (nei modi che non sarà difficile individuare con generale soddisfazione) a chi questa battaglia la conduce da anni, pur avendo ben chiara la consapevolezza della propria insufficienza a ricoprire un ruolo, che è tanto più difficile e gravoso quanto più drammatici sono i problemi che l'Italia di oggi è chiamata a risolvere per  mettersi al passo delle grandi democrazie europee.

Il dato di partenza è quello della c.d. "agenda Monti", che oggi tanti sostengono mostrando di subirla e che sarà un'esigenza anche del futuro, ma che rischia di restare un ricordo del passato se nella prossima legislatura non ci saranno forti gambe liberali attrezzate a superare un doppio ostacolo per proseguire il cammino verso l'integrazione europea e verso l'omologazione delle nostra struttura sociale rispetto a quelle delle altre società europee: da un lato la barriera del dirigismo statale e dei corporativismi localistici e sociali, che frenano le dinamiche della competizione; dall'altro la barriera dell'egoismo individuale, che impedisce di garantire a tutti lo stesso livello di opportunità nella partenza per la gara della vita.
Si tratta di due sfide assolutamente liberali, che richiedono capacità di innovazione ma anche senso della misura ed attenzione verso le fasce meno fortunate della società, per evitare velleitarismi anarcoliberisti e rotture sociali, che finirebbero per ostacolare le riforme necessarie al nostro Paese per diventare una grande democrazia liberale, in cui ciascuno possa complessivamente riconoscersi pur nella critica verso singoli aspetti, il che è poi il lievito da cui originano innovazione e crescita.

Credo che in proposito soccorrano le parole scritte da Benedetto Croce nel dicembre del 1951 per i liberali di allora (e sulle quali si sono formate generazioni di giovani liberali), che mi piace qui citare nella loro letteralità, anche perché, sessanta anni dopo, appaiono assolutamente profetiche, sino al punto che ci è sembrato giusto riproporle come ragione sociale del nostro recente Congresso Nazionale:

"Vorrei che coloro che si determinano a iscriversi al Partito liberale facessero in quell'atto una seria meditazione su questo punto: che cioè il liberalesimo ha una singolarità, che è l'unico partito di centro che si possa pensare. Per questa ragione, esso non può dividersi in una sinistra ed in una destra, che sarebbero due partiti non liberali. Naturalmente il Partito Liberale esaminerà e discuterà sempre provvedimenti di sinistra e di destra, di progresso e di conservazione, e ne adotterà degli uni degli altri, e. se così piace, con maggiore frequenza quelli del progresso che quelli della conservazione. Ma non può celare a sé stesso questa verità, che la libertà si garantisce e si salva talora anche con provvedimenti conservatori, come talaltra con provvedimenti arditi e persino audaci di progresso. Questi esami e queste discussioni, che si chiudono nel quadro anzidetto, sono la vita concreta del partito Liberale, e non c'è nulla di più insulso dell'accusa che il liberalismo, non essendo di un partito solo ma comprendendoli tutti e due, non è un partito. E' tanto più largo e più umano, e, in definitiva più forte, quanto più è partito di centro"

Si tratta, in fondo, dello stesso concetto che sarà più tardi espresso da Isaiah Berlin, uno dei maggiori pensatori liberali dello scorso secolo, quando affermò che "un liberale sta in mezzo, perché sta all'estrema destra della sinistra ed all'estrema sinistra della destra".
E quindi, se, come ci fanno capire Croce e Berlin, quelli di “destra” e “sinistra” sono termini bugiardi (nella sostanza) ed ambivalenti (nella forma),  non cadiamo nella trappola e lasciamo che ad usarli siano quelli che su questa dicotomia ci hanno marciato in passato ed intendono continuare a farlo, utilizzandoli come trappole per catturare subdolamente consensi che non meritano.
Concentriamoci invece sulle cose da fare per rispondere concretamente all’appello promosso da Base Liberale e pubblicato su Generazione Palermo di mercoledì scorso, certamente valido per la Sicilia ma agevolmente estensibile a tutto il Paese, avendo anche la consapevolezza che la “legalità repubblicana”, o come altro vogliamo chiamarla, non è patrimonio né della destra né della sinistra, ma appartiene più semplicemente a tutte le persone per bene di questo Paese, che sono tantissime e stanno dappertutto.
E facciamo in modo che il prossimo futuro (che mi piace chiamare, proprio per questo, un "Futuro Liberale") ci dia la possibilità di attrezzare insieme – senza introdurre nel dibattito termini oggettivamente divisivi e sostanzialmente inutili – un'offerta politica che abbia la forza di riformare le tante cose che vanno cambiate e di conservare le poche cose che vanno conservate; e, più di tutto, che abbia anche la capacità di distinguere le une dalle altre.

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